domenica 28 aprile 2013

Focus On! Mutazioni genetiche

Trattasi di mutazione genetica un qualunque caso di modifica permanente nella sequenza nucleotidica del genoma di un organismo: comporta, in pratica, un cambiamento nel genotipo (insieme dei geni) dello stesso ma non necessariamente nel suo fenotipo (insieme degli aspetti osservabili).


Distinguiamo innanzitutto due casi: nel caso in cui la mutazione avvenga in una cellula somatica, essa sarà presente in tutte le cellule figlie (nate per mitosi) e comporta anche il rischio che quest'ultime diventino tumorali ma non comportano alcun danno alle cellule sessuali; se invece la mutazione avvenisse nei gameti (o nelle cellule che li generano), essa sarà presente in tutte le cellule dell'organismo col rischio incombente di presentarsi anche negli individui di prossima generazione, causando quindi malattie congenite (ereditarie).

cellula tumorale

Ora, distinguiamo alcuni aspetti delle mutazioni genetiche:
  • Le mutazioni genetiche hanno origine da diversi fattori, e quindi suddivise in due categorie:
  1. Mutazioni spontanee: esse sono in genere poco frequenti, oltre che poco incisive. Sono causate da fattori interni all'organismo (errore nella duplicazione, azione diretta di entità ossidanti molto "aggressive"...) e stanno alla base della variabilità genetica (e quindi legate alla selezione naturale).
  2. Mutazione indotte: queste sono, invece, di frequenza e pericolosità variabili. Sono causate da agenti esterni all'organismo (che quindi li subisce) di varietà e natura innumerevoli che, nel loro insieme, sono definiti mutageni: data la vastità di questa categoria, essi possono agire anche in modi molto differenti per portare alle stesse conseguenze, possono intaccare il materiale genetico direttamente (agenti fisici) o alterando la funzione di alcune molecole dell'organismo (agenti chimici). Inoltre, è proprio tra i mutageni che rientrano anche i portatori delle patologie più gravi (radiazioni UV, raggi X, raggi gamma, composti radioattivi...).
I raggi X
  • Le mutazioni genetiche sono suddivise principalmente in tre macro-categorie a seconda del tipo di modifica del corredo genetico (genoma):
  1. Mutazioni geniche, ossia che alterano un singolo gene. Data la lunghezza relativamente corta di un gene, esse riguardano la modifica di un numero molto piccolo di nucleotidi; le mutazioni spontanee sono quasi essenzialmente geniche e le mutazioni geniche sono spesso spontanee.
  2. Mutazioni cromosomiche, ossia che alterano i cromosomi. Riguardano il cambiamento della struttura di uno o più cromosomi, dovuta alla loro rottura e successiva riparazione.
  3. Mutazioni genomiche, ossia che alterano il genoma. Queste ultime sono devastanti, infatti se ne conoscono poche perchè l'organismo solitamente non sopravvive; esse corrispondono ad una modifica nel cariotipo dell'individuo, ossia all'aggiunta o alla perdita nel numero di cromosomi peculiare della specie. Principalmente, le anomalie genomiche sono caratterizzate da trisomia (3 cromosomi) o da monosomia (1 cromosoma): inoltre, esse sono spesso causa di molti tumori.
In queste due immagini, si possono notare due mutazioni genomiche diverse riguardanti la stessa coppia cromosomica: nell'immagine più sopra (un cromosoma 18 in più) l'individuo è affetto da trisomia 18, meglio conosciuta come Sindrome di Edwards; nell'immagine meno sopra (un cromosoma 18 in meno) l'individuo è affetto da monosomia 18, ossia la Sindrome di De Grouchy. Sono tutte malattie con conseguenze gravi, se non mortali, per l'organismo.

Sitografia (per maggiori informazioni):
- http://it.wikipedia.org/wiki/Mutazione_genetica

giovedì 25 aprile 2013

Storia della genetica

E finalmente, una timeline che riassume le tappe principali riguardanti le informazioni più importanti scoperte nel corso del tempo (lasciatemelo dire, un tempo molto breve!):


1865: Gregor J. Mendel, matematico e frate agostiniano, studia i caratteri ereditari e la loro trasmissione (mediante lo studio delle varie generazioni di piante di pisello), enunciando i risultati nelle famose 3 leggi omonime. 


1869: Friedrich Miescher, durante i suoi studi sui leucociti (globuli bianchi) ricavati dal pus di rifiuti ospedalieri vicini, identifica una sostanza zuccherina e acida interna al nucleo che chiama prima nucleina, poi acido nucleico (si trattava del DNA).


1902: Hugo de Vries riprende gli studi di Mendel prendendo come oggetto un altra specie vegetale, la Oenothera lamarkiana (ovvero la rapunzia europea). Nonostante la maggior parte degli individui ottenuti rispettavano le leggi di Mendel, altri presentavano dei caratteri del tutto nuovi che nessun antenato aveva manifestato; Hugo ipotizzò la possibilità di improvvisi cambiamenti genetici in grado di essere poi trasmessi normalmente alla progenie e li chiamò mutazioni. Un'ipotesi corretta.


1908: Sir Archibald Garrod porta l'attenzione sulle malattie ereditarie: egli riteneva che queste fossero patologie causate dall'incapacità di attuare certi processi chimici e, quindi, dalla carenza di alcuni enzimi.


1941: George W. Beadle e Edward L. Tatum, mediante studi dell'ereditarietà su una muffa (Neurospora Crassa), dimostrano che "ad un gene corrisponde un enzima" per la correlazione tra mutazioni e malfunzionamento di certi enzimi. In seguito, si scoprirà che la loro espressione era troppo generica, perchè i geni codificano non solo enzimi e/o proteine, bensì anche polipeptidi e ormoni.


1943: Oswald T. Avery concentra i suoi studi sui batteri e conclude affermando che è il DNA il portatore del codice genetico e non le proteine. Purtroppo, il fatto che gli esperimenti confermavano le sue tesi solo sui batteri, organismi "inferiori" e in un qualche modo "a sè", rese tutto ciò molto difficile da credere ai tempi.


1950: Erwin Chargaff enuncia una regola basata su dati sperimentali: in qualsiasi specie, la quantità di purine è sempre uguale a quella di pirimidine


1950: Linus Pauling dimostra che le proteine possono presentarsi in una struttura elicoidale dovuta ai legami a idrogeno che si formano tra le spire adiacenti dell'elica; inoltre, ipotizza che anche il DNA potrebbe essere disposto in modo simile. Pauling, mediante elettroforesi, verifica che certe malattie genetiche possono comportare a variazioni delle strutture proteiche.


1951: Rosalind Franklin, grazie alle sue straordinarie abilità di ripresa a raggi X, ha raccolto numerose informazioni fondamentali per le scoperte successive con le sue immagini sul DNA, tanto che si pensa sia lei la prima e vera scopritrice della struttura del polimero. Purtroppo, tutto il suo importante lavoro non ha mai ricevuto il degno riconoscimento durante la sua breve vita (infatti morirà a soli 37 anni, nel 1958, per un cancro provocato dalle radiazioni a cui era sottoposta continuamente)...


1952: Alfred D. Hershey e Martha Chase, mediante un esperimento (che ha preso il loro nome), dimostrano che il materiale genetico dei batteriofagi è composto da DNA e non da proteine.


1952: James D. Watson e Francis Crick incontrano Maurice Wilkins che stava conducendo studi analoghi a quelli di Rosalind Franklin: infatti, Wilkins si impossessò delle copie di alcune foto della scienziata che lavorava per il suo istituto e le mise a disposizione dei due inesperti ragazzi.


25 Aprile 1953: Watson e Crick pubblicano ufficialmente le loro scoperte sul DNA, battendo sul tempo Wilkins e Franklin: il DNA aveva una struttura a doppia elica composta da due filamenti antiparalleli legati mediante ponti idrogeno tra le basi azotate. Dopo ulteriori scoperte, riceveranno il premio nobel (insieme a Wilkins) nel 1962, escludendo la povera e deceduta Franklin.


1959-1961: Marshall Nirenberg (destra) e Heinrich Matthaei (sinistra), mediante un esperimento, decifrano il codice genetico: grazie alla "RNA poli-U" (un filamento di RNA composto soltanto da nucleotidi con base azotata uracile, creato artificialmente), si scopre che il codice genetico si legge per triplette e che quest'ultima codificava soltanto amminoacidi "fenilalanina".


1962: John B. Gurdon, mediante un esperimento di vera e propria clonazione, dimostra che le cellule somatiche di un organismo sono in possesso di tutto il genoma e che la diversa produzione di proteine delle varie cellule (proteoma) non implica una perdita del patrimonio genetico, bensì una sorta di inattivazione "a tempo indeterminato" di certi geni.



1963: Francois Jacob (in basso) e Jacques Monod (in alto) pubblicano, dopo anni di esperimenti, le scoperte sulla regolazione genica dei batteri basandosi sul modello dell'operone.


1986: Kary B. Mullis elabora un metodo per produrre tante copie di un singolo frammento di DNA che ancora oggi è impiegato moltissimo: la PCR (ossia Reazione a Catena della Polimerasi)

mercoledì 24 aprile 2013

La sintesi proteica nei procarioti

Tenevo a precisare che i vari passaggi della sintesi proteica elencati nei post precedenti riguardano generalmente gli organismi eucarioti: ciò non significa che gli organismi procarioti seguano processi differenti ma è utile tenere nota di alcune differenze.
  • Il processo di trascrizione dell'RNA messaggero e quello di traduzione sono praticamente consequenziali, probabilmente anche per l'assenza del nucleo.
  • Quindi, l'mRNA non subisce processi di "maturazione" (splicing, capping, poliadenilazione).
  • I ribosomi sono nel citoplasma, in assenza di reticolo endoplasmatico.
  • In particolare, durante la traduzione:
  1. Il primo amminoacido agganciato all'RNA transfer iniziatore non è una normale metionina, bensì si tratta della n-formilmetionina: come per gli eucarioti, anch'essa è spesso rimossa dalla catena.
  2. L'RNA messaggero è spesso tradotto da un gruppo di ribosomi contemporaneamente, il polisoma: questo anche perchè, data la scarsità di introni, spesso un solo filamento di mRNA porta le informazioni di più geni. Il polisoma, ad ogni modo, produce un numero maggiore di polipeptidi rispetto al singolo ribosoma (a parità di tempo).


Più sopra: schematica rappresentazione di un polisoma; meno sopra: differenza strutturale tra la comune metionina e la n-formilmetionina